Archivi tag: in evidenza

Croccante senza zucchero

Chi ci avrebbe mai pensato ad un croccante senza zucchero? Io no. Però gli amici della macrobiotica sì! Questa ricetta quindi non l’ho inventata io ma l’ho imparata durante un corso di cucina macrobiotica in cui ho scoperto che anche questo stile alimentare può proporre gustosissimi piatti. Questo croccante sta inoltre benissimo con un altro dolce che ho imparato a fare durante lo stesso corso che è la mousse al limone (ovviamente #tuttavegetale).

Croccante2

INGREDIENTI

– 1 tazza di cereali soffiati (in questo caso ho usato il miglio)
– 1 tazza di frutta secca e semi (mandorle, nocciole,  sesamo, girasole, zucca)
– 1/2 tazza tra uvetta e fichi secchi
– 5 cucchiai colmi di malto di riso
– un filo di olio per la teglia

PROCEDIMENTO
Mischiamo il cereale soffiato scelto (riso, farro, miglio, mais, avena…) alla frutta secca e ai semi (potete usare fichi, datteri, albicocche, noci, pistacchi…insomma, tutto quello che vi viene in mente). Alla fine uniamo il malto e iniziamo a mischiare. Ci possiamo aiutare con le mani per distribuire bene il malto, ma vi avviso che vi appiccicherete molto :P.
Prepariamo una teglia ricoprendola di carta forno che ungeremo leggermente e distribuiamo il composto in modo che si formi uno strato di massimo 2 cm.

 Croccante1

Mettiamo in forno già caldo a 180 gradi per 15 minuti e poi lasciamo raffreddare. Quando sarà tiepido si sarà indurito come il croccante e si potrà tagliare a pezzi.
E’ davvero buono, croccante, gustoso e dolce ma non stucchevole…sì, perché avevo detto senza zucchero e non “non dolce”!
Il malto è un dolcificante che rispetto allo zucchero viene assorbito dall’organismo più lentamente ma in modo più equilibrato rendendolo così più digeribile. Per quanto riguarda le calorie invece ne ha poche meno del saccarosio (zucchero bianco). Magari sui vari tipi di dolcificanti ci farò un post specifico, ok?

P(r)eso di mira

La scorsa settimana sono stata alla presentazione del libro di un mio caro amico, Francesco Baggiani, che tratta il tema della discriminazione ponderale.

Copertina preso di mira

Molti non sanno cosa sia la discriminazione ponderale. Credo sia importate diffondere qualche informazione sull’argomento perché sicuramente ognuno di noi ne è stato vittima o carnefice. Penso che anche questo possa essere un piccolo passo verso l’azione nonviolenta, nel rispetto degli altri e di noi stessi. Preciso che quello che riporterò è ciò che ho ascoltato durante la presentazione, quindi per un’informazione completa sull’argomento vi rimando al libro: P(r)eso di mira – Pregiudizio e discriminazione dell’obesità, di F. Baggiani, Ed. Clichy, 2014.
Ma cos’è la discriminazione ponderale? Con questo termine si indica tutta quella serie di ingiustizie, trattamenti iniqui e vessazioni basate sul peso corporeo della persona, più comunemente osservabile nei confronti di chi sia sovrappeso. Questo tipo di stigmatizzazione esiste nel nostro modo di pensare e nella nostra società perché si è consolidata l’idea che la forma fisica di una persona sia responsabilità della persona stessa. Ciò significa che se sei in sovrappeso la colpa è tua (e questo differenzia la presa in giro dell’obeso da quella basata su altri difetti fisici: la presunta colpevolezza). Da questo ne deriva che  “se insulti un nero sei razzista, se insulti un gay sei omofono, ma se offendi un ciccione… sei simpatico”, poiché si giustifica una qualche forma di punizione nei suoi confronti. Purtroppo ancora non viene abbastanza preso in considerazione l’effetto che questo modo di “scherzare” può avere sulle malcapitate vittime e, fondamentalmente, non si sono messe sul piatto le complesse cause che portano all’obesità. Una varietà di cause che ci farebbero capire come, nella stragrande maggioranza dei casi, non sia vero che le persone in sovrappeso sono tali solo perché pigre, senza forza di volontà e incapaci di dire di no ad un pasticcino. Menomale però che con questo bel libro, che consiglio a tutti di comprare, Francesco sta facendo un po’ di chiarezza.
Secondo gli studi riportati in “P(r)eso di mira”, i meccanismi che controllano il peso non sono così facili da controllare e in alcuni casi è veramente difficile “costringere” il proprio corpo a non raggiungere (o recuperare) un certo peso. Per un gran numero di persone la questione ha una radice genetica che viene aggravata dall’ambiente in cui viviamo (quello tipico delle società occidentali del “benessere”) che viene definito dall’autore “obesogeno”, cioè che favorisce il sovrappeso. Queste cause genetiche, che sono un problema diverso dalle disfunzioni endocrine o sindromiche che portano all’ingrassamento, fanno sì per esempio, che il senso di sazietà, determinato dai geni appunto, vari da persona a persona. Per dare un’immagine chiara, tra due persone che mangiano la stessa cosa, se una delle due continua a mangiare mentre l’altra è sazia, si dà per scontato che questo succeda perché la prima è più ingorda o golosa e non perché abbia dei geni che gli causino, fin dalla nascita, una sensazione di sazietà spostata un po’ più in avanti.
Quindi quello che si tende a pensare è che l’obesità dipenda dalla mancanza di determinazione dell’interessato, senza tenere conto che fame, sazietà, assorbimento, metabolismo non vengono affatto decisi o controllati dalla volontà. Già a questo punto abbiamo un bel po’ di materiale per riflettere su di noi e su come ci sentiamo quando entriamo in contatto con una persona che non rispecchia i canoni di magrezza correnti.

Un altro aspetto importante che è stato affrontato Mercoledì 4 Marzo alla presentazione del libro è quello relativo alle conseguenze di questi atteggiamenti discriminatori e colpevolizzanti. Essi sono particolarmente gravi in età evolutiva (la discriminazione compare fin dalla scuola dell’infanzia) e molto spesso sono la causa, e non l’effetto, di un’obesità più grave. Infatti può accadere che un bambino un po’ più in carne, ma comunque in buona salute, venga preso in giro dai suoi compagni, escluso dal gruppo e dai giochi, vessato. Questo conduce molto spesso ad un abbassamento dell’autostima che, al pari dei parametri ematici, è un importante elemento da tenere dentro i giusti ranghi affinché si parli di salute della persona: spesso infatti si considera unicamente il buon esito delle analisi e delle visite mediche come indicatori di una buona salute, quando invece la serenità psicologica gioca un ruolo altrettanto importante. Infatti se non si ha autostima, la reazione che scatta nella persona è perlopiù quella di rifiuto di sé e del proprio corpo, cosa che può condurre facilmente a ansia, depressione, ma anche ai disturbi del comportamento alimentare.
Il fatto che talvolta i bambini grassottelli evitano gli sport, poi, non dipende quasi mai dal loro essere pigri, ma dal tentativo di cercare modi per allontanarsi dalle occasioni che potrebbero metterli sotto la lente discriminatoria degli altri. Tutto questo porterà ad adottare delle strategie di compensazione che finiscono per portarli proprio lì dove il problema verrà ingrandito, e cioè verso il cibo.

Un altro punto su cui si è soffermato l’autore durante la conferenza è stato quello che riguarda le modalità con le quali la famiglia affronta il tema del peso dei bambini. I genitori, che ovviamente vogliono il bene dei propri figli, credono che il problema sia il peso in eccesso. Per evitare loro il dolore delle prese in giro ed eventuali danni alla salute, cercano tutti i modi per farli dimagrire, adottando anche loro in alcuni casi la presa in giro, perché credono che questo possa farli reagire. In realtà li fanno entrare ancora di più nel tunnel. Quello che mi sembra di aver capito da questo incontro e che mi interessa in quanto mamma, è che forse quando il peso del bambino diventa davvero molto importate non va visto come la causa di un problema, ma come l’effetto di un problema.
Verso la fine della conferenza poi è stato chiesto all’autore quali consigli si possono dare sia ai genitori che agli insegnanti in queste situazioni. Secondo Francesco Baggiani la cosa importate è concentrarsi più sulla salute e sul benessere che sulla forma fisica. Non entriamo nella logica della “norma” e della paura di ciò che è diverso! Quindi, per quanto riguarda il cibo, il punto sarà quello di adottare un’alimentazione sana il cui obiettivo non deve essere dimagrire ma nutrirsi in modo salutare, e questo non solo per chi è obeso, ma per tutta la famiglia. L’attività fisica deve esserci, ma deve dare gioia e serenità, non diventare occasione di scherno e fallimento (esistono sport, come la pallanuoto, dove un po’ di peso in eccesso può divenire addirittura un vantaggio). Per quanto riguarda invece le relazioni dovremmo cercare di lavorare sull’aumento dell’autostima dei bambini, si potrebbe dire sul loro empowerment, rinforzandoli su ciò che sanno fare bene; dovremmo acquisire e dare loro una corretta informazione sulla loro caratteristica corporea, cercando di liberarsi e liberarli da pregiudizi e stereotipi. Infine facilitare lo sviluppo di strategie sociali positive e non oppositive. La riflessione fondamentale rimane comunque su un nodo centrale: far capire agli altri che li amiamo per quello che sono e non per come appaiono.

Ulteriori informazioni:
www.facebook.com/presodimira.libro

Incontri spontanei

Il primo incontro tra le mie papille gustative e le erbe spontanee è avvenuto quando ero alla scuola materna: si parla quindi di oltre 30 anni fa! I ricordi di cui ho ancora chiara memoria vedono protagonista me ed i gambi di acetosella (Oxalis acetosella), quelli della varietà con i fiori rosa. Una pianta che alcuni coltivano nelle aiuole dei giardini, ma che si può trovare anche in libertà, ai bordi dei fossati o delle stradine bianche di campagna. Io li chiamavo i “frizzini” perché mettendo in bocca il gambo e schiacciandolo delicatamente con i denti, usciva un liquido limonoso che ricorda le caramelle a forma di spicchio di agrumi che contenevano (credo) roba tipo seltz, quindi anche loro “frizzine”!
Verso i sei o sette anni sono incappata nei raperonzoli (Campanula rapunculus). Anche di questo faccia a faccia, ho il ricordo nitido di un giorno in cui con mamma e l’Adriana (una nonna che ancora oggi allieta le mie serate quando mi sento un po’ sola ed abbattuta) siamo andate a fare una girata a cercare le “erbucce”. Quelle piccole radichette bianche insieme alle altre erbe di campo diventavano i premi di una gustosa caccia al tesoro tra una foglia e l’altra.
Incontri più selvatici e bucolici poi li devo a mio padre, che a volte nei giorni di maggio tornava a casa con dei mazzi di fiori di acacia (Robinia pseudoacacia). Questi fiori venivano fritti dopo essere stati impastellati come si fa con quelli di zucca, i quali però erano considerati troppo sofisticati per boccucce selvagge come le nostre. Al termine dell’immersione nell’olio bollente poi arrivava la fatidica domanda: “Dolci o salati?”. Sì, perché i fiori di acacia fritta possono servire sia da contorno che da dolce, praticamente fanno da soli un menu completo! Ah, mio padre raccoglieva ai giardini pubblici anche la “porcacchia” (Portulaca oleracea) e ci faceva una frittatina niente male.
Con la mia bisnonna invece ricordo che durante una delle vacanze estive in cui trascorrevo qualche settimana a San Cesareo con i parenti romani, andavamo per puntarelle selvatiche lungo la vigna. Che buone! E che meraviglia quando si arrotolavano magicamente in graziose spirali nell’acqua ghiacciata!
Successivamente c’è stata la pausa adolescenziale (e post adolescenziali), in cui natura, terra, piante e animali ecc vennero messi in secondo piano rispetto a cinema, trucco, moda e poi discoteche, locali, concerti, innamoramenti ecc. Questo periodo ha coinciso però anche con le mie sperimentazioni culinarie e con la scoperta del supermercato (la Coop, unico nel mio paese) che proponeva prodotti più o meno conosciuti da me. Quando ero bambina infatti la spesa si faceva al negozio, in cui “si segnava” e si pagava a fine mese.
La ripresa dei miei rapporti con le erbe spontanee è avvenuta poi nel 2007 quando ho frequentato il primo corso di permacultura con Saviana, un’esperta del cibo selvatico. L’impatto è stato folgorante e pungente, soprattutto perché la storia è ripartita con l’ortica (Urtica dioica). Sapevo che esistevano ripieni per la pasta fresca con l’ortica, ma non so perché non avevo mai connesso l’idea di quella ortica dentro i ravioli negli scaffali dell’Ipercoop (nel frattempo la Coop si era allargata) con l’ortica che da bambina mi aveva spesso fatto soffrire pungendomi le gambe.
Pesto all’ortica: foglie di ortica, olio extravergine di oliva, mandorle pelate, sale. Questa fu forse la prima cosa che ho personalmente cucinato con un’erba selvatica.
Da questo ri-incontro poi piano piano si è aperto un mondo e la sfida diventava scoprire quale delle migliaia di erbe che ci circondano erano commestibili. E più sembrava assurdo che una pianta si potesse mangiare (come quando seppi che si potevano mangiare le foglie tenere del tiglio (Tilia) o la cosiddetta “vetriola” (Parietaria officinalis L.), più mi attiravano.
A Michela (un’altra conoscenza permaculturale) devo invece l’incontro con il “silene” (Silene vulgaris) con il quale abbiamo fatto una bella spadellata piccantina cucinata sulle rocket stove sotto il cielo stellato.
Infine, la mia ultima “maestra” in tema di erbe spontanee è stata Deva, una donna tedesca che ho conosciuto per caso a Firenze. Grazie a lei ho scoperto che una pianta che fino ad allora avevo chiamato erbaccia malefica (perdono!) e che infesta il mio pezzetto di terra è invece commestibile. Il suo nome è Conytza canadensis. Si chiama così perché è una pianta fuggitiva dal Canada, e mi è stata subito simpatica perché anche a me a volte piacerebbe fuggire. Quando ho saputo che avrei potuto utilizzarla nelle mie ricette mi sono quasi commossa, non l’avrei mai detto!
Spero che il mio incontro con le erbe di campo e di bosco continui e so che ancora molto ho da scoprire da loro e molto ancora hanno da donarmi. Credo che l’amore per le erbe spontanee e l’entusiasmo che ne deriva quando riusciamo ad impiegarle in cucina non dipenda tanto dal sapore e dal piacere gustativo che ci danno, quanto dal senso di gratuità e di dono da parte della Natura, che ci porta per qualche istante a sentirci davvero parte di un Tutto. Gratuità è un termine che purtroppo nella logica della società del profitto ha quasi un significato negativo perché ciò che non ha un prezzo non ha valore, mentre invece a me piace di più pensare al significato etimologico per cui gratuito è tutto ciò che viene fatto per grazia.

Social eating

Ogni tanto nasce una nuova tendenza. Negli ultimi tempi si sente parlare di Social eating e a me piace molto perché riguarda la mia passione, la cucina. Praticamente si tratta di ospitare persone in casa propria (o andare a mangiare da altri se si è “clienti”) per cena. Quindi tutto ciò avviene in una Home restaurant (altro inglesismo).

Social Eating
Social Eating

La possibilità di mangiare davvero bene è alta perché credo che chi si cimenta in questa cosa voglia sfoggiare i piatti che gli riescono meglio. L’idea del social eating mi piace quindi perché in modo semplice e senza troppe complicazioni si possono condividere le proprie abilità e il proprio amore per il cibo con nuove persone. Infatti un aspetto molto importante e che per me costituisce il valore aggiunto rispetto ad una normale cena fuori, è che ci si può trovare allo stesso tavolo con persone nuove, a casa di persone nuove. Tutte storie da ascoltare e raccontare. Sguardi nuovi sulla vita e nuovi modi di entrare in contatto con gli altri.
Come funziona praticamente però? Innanzi tutto bisogna iscriversi, ad un sito che permette di mettere in contatto “cuochi” con “mangiatori”. In Italia il più grande è Gnammo.com a cui anche io mi sono iscritta. A quel punto se si vuole ospitare si deve creare un evento, pubblicare un menu e delle foto, descrivere un po’ come si svolgerà la serata. Se invece si vuole andare solo a sgranare basta fare una ricerca per zona (esempio Arezzo o Firenze) e vedere chi è che organizza qualcosa. Se il menu ci piace, è fatta: si prenota, si paga con Paypal e si va a mangiare a casa di qualcuno. Facile no?
Qui copio il link al mio primo evento, una cena a casa in cui ovviamente mangeremo #tuttovegetale…chissà che non incontri qualcuno di voi 🙂

http://gnammo.com/events/2823/vegetale-e-gustoso-ci-credi

 

Tarte tatin alle pere con panna di mandorle

La Tarte tatin è un classico della pasticceria francese che mi piace moltissimo. In pratica è una specie di crostata di mele rovesciata. In questa ricetta propongo una versione ovviamente vegetale con le pere al posto delle mele e con lo zucchero di canna grezzo invece che con lo zucchero bianco.

Tarte tatin

INGREDIENTI
– 60 g di semola
– 140 g di farina 0
– 1 pizzico di sale
– 1 cucchiaio di amido di mais
– 80 g di zucchero di canna grezzo
– 1/2 cucchiaino di cannella in polvere
– 90 g di burro vegetale
– 2 cucchiai di olio di semi di girasole o di oliva
– 2-3 cucchiai di acqua
– 3 pere
– 6 cucchiai di zucchero di canna
– 2 cucchiai di acqua (per il caramello) facoltativi
PER LA PANNA
– 1 manciata di mandorle pelate
– 2 cucchiai di anacardi
– 1/2 confezione di panna di cocco
– 1 cucchiaio di zucchero di canna grezzo

PROCEDIMENTO
Uniamo semola, farina, amido di mais, sale, la cannella e zucchero e aggiungiamo poi il burro vegetale (volendo possiamo farlo anche da noi invece di utilizzare la margarina che spesso contiene olio di palma), i 2 cucchiai di olio e 2 o 3 cucchiai di acqua. Impastiamo fino ad ottenere una pasta tipo frolla. Mettiamo l’impasto in frigo per un’oretta. Intanto puliamo le pere e tagliamole in spicchi (8 per ogni pera). In un pentolino mettiamo i 6 cucchiai di zucchero di canna con due cucchiai di acqua e facciamo un caramello. Quando il caramello è ambrato, versiamolo sul fondo di una teglia che avremo ricoperto con la carta forno e disponiamo gli spicchi di pera a raggiera. Tiriamo fuori la nostra pasta frolla dal frigo e stendiamola della larghezza della teglia (io ho usato la teglia da 24 cm). Adagiamo la pasta sopra cercando di non romperla perché è abbastanza fragile, e inforniamo a 180 gradi per circa 40-45 minuti o comunque fino a quando la pasta ha preso il colore che desiderate. Spegnere il forno e far riposare la torta per 5 minuti. A questo punto rigiriamo la torta su un piatto di portata, togliamo la carta forno e il gioco è fatto!
Per fare la panna uniamo tutti gli ingredienti insieme e frulliamo con il minipimer. Se la vogliamo un po’ più liquida, quindi più simile ad una crema, possiamo aggiungere un po’ di latte vegetale. Decoriamo le fette di torta tiepida con la panna e con frutta secca o fresca di nostro gradimento (in questa foto la vedete con le bacche di goji) e serviamo.

Tofu marinato con broccoletti e cipolle caramellate

Nuova ricetta di oggi un ottimo secondo che vi farà ricredere sul tofu! Sì, perché per molte persone (anche per me fino a qualche tempo fa) cucinare il tofu in modo che sembrasse almeno qualcosa di commestibile era praticamente un mistero. Sembrava che solo la millenaria sapienza cinese potesse custodire tale segreto!

Tofu marinato

Di cosa abbiamo bisogno per preparare questo piatto per 4 persone?

INGREDIENTI
– 3 panetti di tofu da 125 grammi l’uno (totale 375 g)
– 1 bicchiere di acqua
– 1/2 bicchiere di tamari
– erbe aromatiche secche (timo, origano, alloro, salvia, rosmarino)
– 1 broccolo
– 1 cipolla rossa abbastanza grande
– 1 cucchiaio di zucchero integrale (o 2 di malto di riso se preferite evitare lo zucchero)
– olio extravergine di oliva
– sale marino

PER LA SALSA
– 1 cucchiaio di salsa tahini
– 30-40 g di latte di soia (o un po’ di più se la volete più liquida)
– 1 cucchiaio di succo di limone
– olio di girasole deodorato qb
– 1 cucchiaio di malto di riso
– sale

PROCEDIMENTO
Preparare la marinatura per il tofu versando l’acqua ed il tamari in una teglia. Aggiungere le erbe aromatiche e un cucchiaio di olio evo. Tagliare i panetti di tofu per orizzontale in 3 fettine alte circa mezzo centimetro e adagiarle sulla marinatura. Lasciare almeno per mezz’ora, ma ci possono stare anche un paio di ore.

Mentre il tofu si insaporisce (è qui che il saporaccio di cartone sparisce !!!) preparare le verdure. Tagliare il broccolo in cimette piccole e scottarle in acqua bollente e salata per un paio di minuti. Devono rimanere sodi. Appena trascorso il tempo di cottura farli freddare in acqua fredda. Scolare e lasciare da parte.
Tagliare la cipolla a fettine per il senso della lunghezza (praticamente “spicchi” sottili di circa mezzo cm) e metterla a rosolare con un po’ di olio evo. Salare e coprire con il coperchio per una decina di minuti circa. Trascorso questo tempo aggiungere lo zucchero (o il malto) e lasciarlo sciogliere. Spegnere e lasciare da parte.
Infine prepariamo la salsa. Nel bicchiere del minipimer mettiamo il cucchiaio di salsa tahini, il succo di limone e il latte di soia. Frulliamo in modo che la salsa tahini si sciolga. A questo punto aggiungere l’olio a filo e frullare fino a quando non raggiunge la consistenza della maionese. Aggiungere anche il malto, aggiustare di sale e la salsa è pronta.

Quando siamo pronti per preparare il piatto, mettere il tofu in forno a 180 gradi per circa 25 minuti. Quando mancano 5 minuti alla fine della cottura scaldare i broccoli (io li ho messi un po’ in forno) che andranno poi conditi con sale e olio, e scaldare le cipolle.

Per comporre il piatto mettiamo una fettina di tofu, disponiamo sopra uno strato di broccoletti. Poi un’altra fettina di tofu ed infine le cipolle caramellate.
Guarnire con la salsa al sesamo e volendo un po’ di riduzione di balsamico (come vedete nella foto).

P.s (come noterete avanzerà una fettina di tofu… ve la potete mangiare mentre preparate i piatti, così avrete la prova che il tofu così viene proprio buono 🙂