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L’orto sinergico

Descrivere in una pagina cosa sia e come si faccia un orto sinergico non è possibile. Mi limiterò quindi a dire quali sono i principi che stanno alla base di questo tipo di coltivazione, quali sono i vantaggi di un orto sinergico rispetto ad uno tradizionale e condividerò la mia piccola esperienza di “neo ortista sinergica”. Dico intanto che la prima volta che ho sentito parlare di orti sinergici è stato direttamente dalla bocca di Antonio De Falco, esperto italiano di questo tipo di orticoltura e persona di grande sensibilità come potrete vedere dal video che vi consiglio di guardare per farvi un’idea.
https://www.youtube.com/watch?v=wEdTdzt7Zws

Innanzi tutto diciamo che l’agricoltura sinergica è stata descritta e diffusa da una donna spagnola (e qui noi donne gongoliamo) che ha messo in pratica nel suo territorio le intuizioni dell’agronomo giapponese Masanobu Fukuoka, autore del celebre libro “La rivoluzione del filo di paglia”.
Il principio di base su cui si fonda l’agricoltura sinergica è quello dell’autofertilità del suolo. Praticamente mentre la terra dà alle piante il nutrimento necessario alla loro crescita, le piante restituiscono, attraverso i loro essudati radicali, residui organici che daranno origine a nuovo humus fertile. A questo si aggiunge l’attività di microrganismi, funghi, lombrichi che sono abitanti indispensabili del suolo in buona salute (sul suolo vi raccomando di leggere il libro “Il suolo – Un patrimonio da salvare”, riferimenti in calce). Ciò significa che la terra, se lasciata fare, è un sistema che si autogestisce e completamente sostenibile e che non ha bisogno di “aggiunte”. La questione nasce quando noi vogliamo che un determinato pezzo di terra produca certe piante. In questo caso il rischio è che la nostra attività metta a repentaglio l’equilibrio naturale del suolo, portandoci, per ottenere i prodotti voluti, ad utilizzare fertilizzanti (più o meno naturali), faticare a suon di zappa e vanga, e combattere contro afidi, lumache e funghi.
L’idea quindi è quella di agire rispettando l’equilibrio della terra, cercando di imitare i processi naturali (uno dei principi della permacultura) piuttosto che piegare la terra alle nostre esigenze.
I vantaggi che abbiamo se facciamo un orto sinergico non sono soltanto per la terra che verrà “stressata” e sfruttata in misura minore, ma anche per noi. Infatti dopo una prima lavorazione per ammorbidire il suolo (e qui De Falco consigliava di scusarsi con la Terra per il primo e ultimo rivoltamento), esso, grazie ai bancali rialzati e alla corretta gestione dell’avvicendamento delle piante, sarà sempre più soffice, aerato e fertile. Posso dire che ho avuto prova di questo in prima persona. Tre anni fa infatti avevo provato a fare un orto sinergico che però, per vari motivi ho abbandonato. Quest’anno ho voluto ripristinare il mio orto e pensavo che i miei bancali (che erano completamente coperti di erbe e piante spontanee) sarebbero stati dei mattoni su cui avrei dovuto faticare un sacco. Con mia sorpresa invece quando ho iniziato a ripulire l’orto, mi sono accorta che la terra era ancora soffice, che le erbe spontanee venivano via con facilità e che in poco tempo avrei riavuto il mio orto pronto per accogliere nuove piantine. Approfitto dell’occasione per ringraziare pubblicamente i miei amici Monica Casanova Morales che ha lavorato nella zona delle aromatiche e Andrea Focardi che mi ha aiutato e mi ha iniziato all’uso di un fantastico strumento, la forca.
Forca

A cosa ci riferiamo quando parliamo di sinergia nell’orto? Parliamo dei rapporti tra le piante. Le piante come le persone, stanno meglio con qualcuno piuttosto che con qualcun altro. Il pomodoro allora sta volentieri con il basilico (non solo nel piatto, ma anche nell’orto) e aglio e cipolle aiutano un po’ tutti. Come nelle famiglie umane, anche tra le famiglie vegetali ci sono tensioni e quindi si cerca di non mettere troppo vicine piante della stessa famiglia (per esempio pomodori e patate o peperoni). Anche i tempi sono importanti: visto che non tutte le piante hanno la stessa velocità di crescita, meglio mettere nell’orto piante a crescita lenta come pomodori, cavoli o fagioli, con altre colture a crescita veloce, come le lattughe, spinaci o ravanelli (di cui volendo si possono mangiare anche le foglie per farci un pesto, cosa per alcuni sconosciuta). Inoltre le erbe aromatiche hanno la funzione di insetticidi naturali: non solo il sopracitato basilico, ma anche il timo, l’origano o il rosmarino allontanano gli insetti “cattivi” e attirano quelli “buoni”. Sempre per invitare ospiti graditi nell’orto, saranno presenti dei fiori: tagete, nasturzio, calendula, tarassaco, fiordaliso, che oltre ad assolvere un’importante funzione, renderanno il nostro orto più bello.
L’idea quindi è quella di avere un ambiente vario, ricco, comunicativo, un po’ disordinato forse ma allegro. Io intanto inizio con il mio piccolo orto, che per adesso è un esperimento ma che, appena capito come funziona, si amplierà per regalarci ciò di cui abbiamo bisogno. Pubblico le foto che ho fatto appena lo abbiamo rimesso in sesto. Spero di poter condividere presto anche le immagini delle piante cresciute e dei frutti che raccoglieremo.
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Link del libro sul suolo: bellissimo, utilissimo. Un libro che parla di un argomento di cui credete di sapere qualcosa ma di cui invece non sapete nulla.
http://www.macrolibrarsi.it/libri/__il-suolo-un-patrimonio-da-salvare.php

Video intervista di Masanobu Fukuoka “Non far niente è il miglior metodo agricolo” che farà sobbalzare sulla sedia tutti gli omini che fanno l’orto.
https://www.youtube.com/watch?v=-5i6vXsBXKI

Acquasanta e Quasiliberi

Ci sono incontri che ci cambiano la vita e ce la rendono migliore. L’incontro con Antonella di Acquasanta è uno di questi. L’ho conosciuta nel 2006, anno in cui ho iniziato ad interessarmi alla natura, all’agricoltura naturale, a stili di vita e di consumo più rispettosi non solo per l’ambiente ma anche per le persone.
Il primo corso di Permacultura l’ho fatto proprio a casa sua, io che non sapevo niente di niente ma che avevo voglia di capire se fosse possibile anche per me vivere in modo meno pesante per questa Terra.
Ancora adesso non ricordo quando e perché mi è venuta voglia di interessarmi al mondo “alternativo” o, come impropriamente direbbero alcuni, dei “frikkettoni”.  Davvero non lo ricordo. So che è iniziato tutto con una mia fuga in solitaria ad uno dei primi RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici) sponsorizzati dalla rivista AAM Terranuova. Sono andata in tenda, io che non avevo mai montato una tenda da sola (quando andavo in campeggio con la mia amica Selvaggia la tenda era praticamente già montata o ci facevamo aiutare da baldi giovani molto più esperti di noi :).
Durante il RIVE, in cui ebbi il piacere di conoscere Antonio De Falco (su di lui dirò in un altro post), seppi di questo corso di permacultura in Umbria, ad Acquasanta, che si trova vicino a Città della Pieve.

Pane lievitato
Lì non ci andai da sola ma con mia madre. Io e lei a dormire in tenda con il materassino che si sgonfiava ogni notte. Noi due alle prese per la prima volta con la compost toilet all’aperto (anche su questo un post sarà necessario).  Un corso in cui oltre alle nozioni e alla pratica sul campo, c’era sempre spazio per giochi, abbracci, momenti di 5-5 con sconosciuti (non sapete cosa è il 5-5? 5 minuti parli tu, 5 minuti parla l’altro. Uno parla soltanto, uno ascolta soltanto!). Esperienza bellissima che mi ha aperto un mondo e mi ha fatto scoprire delle pratiche che anche se non ho immediatamente messo in atto (posso dire di condurre una vita non così alternativa) si sono interiorizzate dentro di me.
Ho fatto poi altri corsi e ho incontrato altre persone che si occupano di permacultura ed agricoltura naturale e con molte di loro sono ancora in contatto. Mi dà una gioia grandissima vedere quando i loro progetti si realizzano e li immagino a godere di panorami mozzafiato,  lavoro duro ma soddisfacente e cene fatte con i frutti della terra di cui hanno cura seguite dagli immancabili concertino con chitarre e strumenti a percussione improvvisati.
Antonella però è la persona con cui non solo ho mantenuto i contatti, ma con la quale ho instaurato un’amicizia speciale.  Per me è una guru, una persona che sa darti la risposta giusta al momento giusto, che sa farti godere delle cose più semplici, anche quando stai affrontando un momento di sofferenza, che rende reale ciò che si vede e ciò che non si vede. Insomma, una persona che sa apprezzare la vita e che con il suo esempio riesce ad ispirare anche gli altri (non sono la sola fan di Antonella, ce ne sono molti in giro!!!).
Sono contenta allora di poter condividere questo video che abbiamo girato l’ultima volta che siamo stati a trovarla. Spero che anche voi cogliate la magia di questo posto e l’energia che scaturisce dal tornare alla terra.

quasiliberi

Video girato presso l’Azienda Agricola Acquasanta – Città della Pieve.
http://agricolaacquasanta.weebly.com

Girato e montato da Simone Baldini Tosi
https://www.youtube.com/user/BaldiniT…

“MercoledìVeg”: un semplice passo

Girando sui  siti che trattano l’argomento di abitudini alimentari più salutari e rispettose della vita, l’iniziativa proposta sul sito www.cambiamenu.it è una di quelle che mi piace di più. Il motivo per cui trovo “MercoledìVeg” geniale è che viene suggerita un’azione alla portata di tutti, realistica e realizzabile da chiunque. Che cosa è MercoledìVeg? Riporto testualmente le parole che potete trovare nel sito:

È il giorno della settimana in cui pensiamo al Pianeta, alla nostra salute e agli animali. Lo facciamo partendo dalla tavola, perché le nostre scelte a tavola hanno un peso sul futuro e anche sul presente“.

Tutti noi possiamo dedicare un giorno alla settimana a questi importanti obiettivi: tutela dell’ambiente e riduzione dei consumi, salute del nostro corpo (e anche della nostra mente, direi) e rispetto per la vita degli animali. Sarebbe anche un’occasione per scoprire nuovi piatti e ricette come quelle che condivido in questo blog, per esempio :P.
Credo che invitare le persone a diminuire il consumo di carne e prodotti animali, sia sicuramente più semplice, al momento, rispetto a convincerle ad eliminarla totalmente dalla loro alimentazione. Inoltre possiamo vedere la cosa anche così: un’ azione anche se piccola, se svolta da tutti potrebbe avere un impatto molto significativo.

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Sono sempre più diffusi gli studi che dimostrano che mangiare cibi animali tutti i giorni non fa bene. Sono sempre più numerosi i medici che invitano i loro pazienti (purtroppo spesso solo quando soffrono già a causa di qualche patologia) ad eliminare alcuni alimenti o comunque a ridurre il consumo di proteine animali. Sono sempre più abbordabili e reperibili sia nei negozi specializzati che nella grande distribuzione, alimenti certificati 100% vegetale. Sono ogni giorno più numerosi i blog, come il mio, che condividono ricette ed esperimenti culinari dimostrando che mangiare vegetale non significa accontentarsi di un’insalatina.
Quindi perché non provare a fare questa esperienza?
Se pensate che fare il MercoledìVeg non cambi un gran ché, vi consiglio di guardare il documentario “Meat the Truth” (il video lo trovate in fondo all’articolo), che è uno dei miei preferiti sul tema alimentazione vegetale. In particolare, se non avete un’ora di tempo per guardarlo tutto, vi suggerisco di guardare almeno tre minuti verso la fine (da 59:50 a 1:02:51) in cui vengono forniti dati concreti su quanto si può contribuire in termini di riduzione dell’effetto serra e dell’inquinamento, eliminando uno o più giorni le proteine animali.
Sempre nello stesso documentario se volete c’è anche un bel video sempre sull’eliminazione per un giorno della carne. Lo trovate tra il minuto 56:45 e il minuto 59:20.

Incontri spontanei

Il primo incontro tra le mie papille gustative e le erbe spontanee è avvenuto quando ero alla scuola materna: si parla quindi di oltre 30 anni fa! I ricordi di cui ho ancora chiara memoria vedono protagonista me ed i gambi di acetosella (Oxalis acetosella), quelli della varietà con i fiori rosa. Una pianta che alcuni coltivano nelle aiuole dei giardini, ma che si può trovare anche in libertà, ai bordi dei fossati o delle stradine bianche di campagna. Io li chiamavo i “frizzini” perché mettendo in bocca il gambo e schiacciandolo delicatamente con i denti, usciva un liquido limonoso che ricorda le caramelle a forma di spicchio di agrumi che contenevano (credo) roba tipo seltz, quindi anche loro “frizzine”!
Verso i sei o sette anni sono incappata nei raperonzoli (Campanula rapunculus). Anche di questo faccia a faccia, ho il ricordo nitido di un giorno in cui con mamma e l’Adriana (una nonna che ancora oggi allieta le mie serate quando mi sento un po’ sola ed abbattuta) siamo andate a fare una girata a cercare le “erbucce”. Quelle piccole radichette bianche insieme alle altre erbe di campo diventavano i premi di una gustosa caccia al tesoro tra una foglia e l’altra.
Incontri più selvatici e bucolici poi li devo a mio padre, che a volte nei giorni di maggio tornava a casa con dei mazzi di fiori di acacia (Robinia pseudoacacia). Questi fiori venivano fritti dopo essere stati impastellati come si fa con quelli di zucca, i quali però erano considerati troppo sofisticati per boccucce selvagge come le nostre. Al termine dell’immersione nell’olio bollente poi arrivava la fatidica domanda: “Dolci o salati?”. Sì, perché i fiori di acacia fritta possono servire sia da contorno che da dolce, praticamente fanno da soli un menu completo! Ah, mio padre raccoglieva ai giardini pubblici anche la “porcacchia” (Portulaca oleracea) e ci faceva una frittatina niente male.
Con la mia bisnonna invece ricordo che durante una delle vacanze estive in cui trascorrevo qualche settimana a San Cesareo con i parenti romani, andavamo per puntarelle selvatiche lungo la vigna. Che buone! E che meraviglia quando si arrotolavano magicamente in graziose spirali nell’acqua ghiacciata!
Successivamente c’è stata la pausa adolescenziale (e post adolescenziali), in cui natura, terra, piante e animali ecc vennero messi in secondo piano rispetto a cinema, trucco, moda e poi discoteche, locali, concerti, innamoramenti ecc. Questo periodo ha coinciso però anche con le mie sperimentazioni culinarie e con la scoperta del supermercato (la Coop, unico nel mio paese) che proponeva prodotti più o meno conosciuti da me. Quando ero bambina infatti la spesa si faceva al negozio, in cui “si segnava” e si pagava a fine mese.
La ripresa dei miei rapporti con le erbe spontanee è avvenuta poi nel 2007 quando ho frequentato il primo corso di permacultura con Saviana, un’esperta del cibo selvatico. L’impatto è stato folgorante e pungente, soprattutto perché la storia è ripartita con l’ortica (Urtica dioica). Sapevo che esistevano ripieni per la pasta fresca con l’ortica, ma non so perché non avevo mai connesso l’idea di quella ortica dentro i ravioli negli scaffali dell’Ipercoop (nel frattempo la Coop si era allargata) con l’ortica che da bambina mi aveva spesso fatto soffrire pungendomi le gambe.
Pesto all’ortica: foglie di ortica, olio extravergine di oliva, mandorle pelate, sale. Questa fu forse la prima cosa che ho personalmente cucinato con un’erba selvatica.
Da questo ri-incontro poi piano piano si è aperto un mondo e la sfida diventava scoprire quale delle migliaia di erbe che ci circondano erano commestibili. E più sembrava assurdo che una pianta si potesse mangiare (come quando seppi che si potevano mangiare le foglie tenere del tiglio (Tilia) o la cosiddetta “vetriola” (Parietaria officinalis L.), più mi attiravano.
A Michela (un’altra conoscenza permaculturale) devo invece l’incontro con il “silene” (Silene vulgaris) con il quale abbiamo fatto una bella spadellata piccantina cucinata sulle rocket stove sotto il cielo stellato.
Infine, la mia ultima “maestra” in tema di erbe spontanee è stata Deva, una donna tedesca che ho conosciuto per caso a Firenze. Grazie a lei ho scoperto che una pianta che fino ad allora avevo chiamato erbaccia malefica (perdono!) e che infesta il mio pezzetto di terra è invece commestibile. Il suo nome è Conytza canadensis. Si chiama così perché è una pianta fuggitiva dal Canada, e mi è stata subito simpatica perché anche a me a volte piacerebbe fuggire. Quando ho saputo che avrei potuto utilizzarla nelle mie ricette mi sono quasi commossa, non l’avrei mai detto!
Spero che il mio incontro con le erbe di campo e di bosco continui e so che ancora molto ho da scoprire da loro e molto ancora hanno da donarmi. Credo che l’amore per le erbe spontanee e l’entusiasmo che ne deriva quando riusciamo ad impiegarle in cucina non dipenda tanto dal sapore e dal piacere gustativo che ci danno, quanto dal senso di gratuità e di dono da parte della Natura, che ci porta per qualche istante a sentirci davvero parte di un Tutto. Gratuità è un termine che purtroppo nella logica della società del profitto ha quasi un significato negativo perché ciò che non ha un prezzo non ha valore, mentre invece a me piace di più pensare al significato etimologico per cui gratuito è tutto ciò che viene fatto per grazia.

Social eating

Ogni tanto nasce una nuova tendenza. Negli ultimi tempi si sente parlare di Social eating e a me piace molto perché riguarda la mia passione, la cucina. Praticamente si tratta di ospitare persone in casa propria (o andare a mangiare da altri se si è “clienti”) per cena. Quindi tutto ciò avviene in una Home restaurant (altro inglesismo).

Social Eating
Social Eating

La possibilità di mangiare davvero bene è alta perché credo che chi si cimenta in questa cosa voglia sfoggiare i piatti che gli riescono meglio. L’idea del social eating mi piace quindi perché in modo semplice e senza troppe complicazioni si possono condividere le proprie abilità e il proprio amore per il cibo con nuove persone. Infatti un aspetto molto importante e che per me costituisce il valore aggiunto rispetto ad una normale cena fuori, è che ci si può trovare allo stesso tavolo con persone nuove, a casa di persone nuove. Tutte storie da ascoltare e raccontare. Sguardi nuovi sulla vita e nuovi modi di entrare in contatto con gli altri.
Come funziona praticamente però? Innanzi tutto bisogna iscriversi, ad un sito che permette di mettere in contatto “cuochi” con “mangiatori”. In Italia il più grande è Gnammo.com a cui anche io mi sono iscritta. A quel punto se si vuole ospitare si deve creare un evento, pubblicare un menu e delle foto, descrivere un po’ come si svolgerà la serata. Se invece si vuole andare solo a sgranare basta fare una ricerca per zona (esempio Arezzo o Firenze) e vedere chi è che organizza qualcosa. Se il menu ci piace, è fatta: si prenota, si paga con Paypal e si va a mangiare a casa di qualcuno. Facile no?
Qui copio il link al mio primo evento, una cena a casa in cui ovviamente mangeremo #tuttovegetale…chissà che non incontri qualcuno di voi 🙂

http://gnammo.com/events/2823/vegetale-e-gustoso-ci-credi